Dopo quasi tre anni di avventure editoriali - uno in più del previsto, perché se qualcosa deve andare storto sicuramente lo farà - posso finalmente dire che la missione Millionaire Magazine è compiuta.
Un’esperienza più movimentata di una serie Netflix — con colpi di scena, imprevisti e qualche episodio speciale — che si conclude con soddisfazione e un bel sospiro di sollievo.
Dopo la recente acquisizione da parte di un nuovo editore, si chiude anche il mio percorso nella società con la quale avevamo fatto decollare la sua presenza digitale.
Con un piccolo team (grande nel cuore e nell’impegno), abbiamo dato nuova vita a un brand dimenticato e stanco, portandolo nel mondo digitale con forza - e pure qualche nottata insonne -, ma questo è soltanto l’inizio.
Ora, sedetevi comodi, che vi svelo il "plot" di questi anni di lavoro.
Il mio coinvolgimento con Millionaire, iniziò nel 2022, quando fui chiamato a occuparmene dopo l’acquisizione della rivista da parte della nuova proprietà, in seguito a un sequestro giudiziario che aveva portato la società all’asta.
Non proprio un’entrata in scena “soft”.
La realtà era ben diversa da quella raccontata dal Commissario: gran parte dei crediti erano inesistenti, i debiti quasi pari alla cassa disponibile, 18 tra dipendenti e collaboratori (alcuni nemmeno in regola!) e un’azienda lasciata in autogestione alla redazione — la stessa degli ultimi trent’anni — con perdite di 300/400k nei cinque anni precedenti.
C’erano perfino due (sì, due!) rappresentanze sindacali, entrambe poco interessate a qualsiasi piano di sviluppo che non prevedesse il mantenimento dello status quo.
L’atmosfera era accogliente solo dall’esterno. Ricorderò sempre una delle prime riunioni con chi gestiva l’amministrazione e i suoi "consigli" su chi licenziare per primo. Questo era l’ambiente che ci siamo trovati a gestire.
Mi piace complicarmi la vita, e così accettai (insieme al mio team da Londra) di occuparmi del rilancio come Direttore Editoriale, affiancando l’Amministratore nel non facile compito di fare pulizia, rilanciare un prodotto rimasto sostanzialmente fermo agli anni ’90, e mettere in atto alcune scelte difficili — con tanta voglia di provarci e anche di rischiarci in prima persona.
Dopo poco più di un mese dal nostro arrivo, la direttrice in carica da due anni si dimise (ok, libero arbitrio), anche se in realtà non se ne andò mai davvero.
Anzi, continuò a mettere i bastoni tra le ruote dall’interno, supportata da alcuni ex dipendenti nostalgici del vecchio sistema.
In fondo, lei ci aveva provato a comprarsela, partecipando all’asta — ma senza riuscirci.
E perdere il controllo assoluto di quel "giocattolo" con cui per anni aveva parlato di startup e costruito il proprio personal branding, mentre qualcun altro pagava il conto con paginate di marchette, ‘fuffa guru’, negozi di cannabis e sexy shop… dev’essere stato un colpo difficile da digerire.
Risultato?
Un passaggio aziendale sabotato al punto da spingere l’azienda sull’orlo del baratro.
Spoiler: non ci siamo fatti bloccare.
Osteggiati all’interno (e alcune sorprese sarebbero emerse col tempo) e all’esterno da un mercato in caduta libera, ci siamo trovati a promuovere una linea editoriale in netto contrasto con ciò che il vecchio Millionaire aveva sostenuto per anni:
la marchetta editoriale come modello di business,
l’idea di fare impresa “a tutti i costi”, anche con format più che discutibili,
il tutto mascherato da magazine “amico” dell’innovazione e delle startup dei “ragazzi di quartiere”, dispensatore seriale di buone parole per tutti.
Nel frattempo, il lettore storico era invecchiato… insieme alla rivista.
Ci siamo rimboccati le maniche (parlo al plurale perché non ero certo solo!), abbiamo fatto il possibile con le risorse disponibili (col senno di poi, forse sarebbe stato meglio mandare tutti a casa subito e ripartire da zero), rinunciato a ogni compenso, accettando il rischio imprenditoriale, e ripulito, ricostruito e rilanciato il brand da cima a fondo.
Senza gridare al miracolo, ma con un piano chiaro: tornare a parlare di business vero, partendo dall’esperienza imprenditoriale, non dalla celebrazione giornalistica.
Un magazine da imprenditori, per imprenditori.
I risultati? Parliamo con i numeri (quelli sì, non mentono):
Nel 2022 e per gran parte del 2023, Millionaire è tornato profittevole dopo 5 anni, in un mercato in caduta libera.
Il magazine cartaceo è stato completamente rinnovato e quello digitale ha finalmente assunto una sua identità e indipendenza.
Su LinkedIn (la piattaforma naturale per un business magazine) abbiamo quasi quadruplicato i follower, da poco più di 50.000 a oltre 190.000.
Nel 2023 LinkedIn mi ha premiato con il Thought Leadership Award per i risultati ottenuti in termini di engagement.
L’azienda è passata da quasi 20 collaboratori a costi fissi quasi nulli, senza perdere qualità — anzi, aumentando efficienza e sostenibilità.
Abbiamo fatto il lavoro che prima faceva un piccolo esercito con un team compatto, portando l’azienda a operare con costi minimi e margini di manovra enormi.
Poi è arrivato lo spettro del passato.
A novembre 2023 la ex direttrice, tanto amata dalla sua redazione, riuscì a ottenere il blocco dei conti aziendali con una causa (che definirei “temeraria”) su presunti compensi dovuti tra il 2017 e il 2022 — ovvero per colpa della gestione commissariale.
Compensi che non aveva mai richiesto prima, ma che ha avanzato come forma di vendetta personale, dopo aver perso il controllo dell’azienda.
Morale?
Le mancanze del Tribunale di Milano sono ricadute su chi l’azienda l’ha rilevata in buona fede, senza sapere nulla di ciò che era successo prima. Viva l’Italia.
Perché non abbiamo licenziato tutti subito?
Semplice: eravamo appena arrivati.
E purtroppo, fin da subito, gli ex dipendenti — spinti anche dal sindacato e dall’Ordine dei Giornalisti — hanno scelto il sabotaggio e un continuo sciopero bianco. Non accettavano più di dover rendere conto, né di cambiare abitudini. Dovevano semplicemente fare il loro lavoro — e lasciare agli altri quello di gestire l’azienda. Qualcosa per loro inconcepibile.
Inoltre, licenziarli subito non era economicamente possibile. Alcuni avevano contratti a tempo indeterminato ‘intoccabili’, e l’azienda non aveva liquidità sufficiente.
Prima bisognava crescere, trovare investitori, poi passare alla Fase 2.
Quando finalmente stavamo per passare alla Fase 2, nonostante l’ostruzionismo continuo della redazione e del vecchio IT - tutte cose che poi avremmo scoperto e documentato —, si sono dimessi tutti, in blocco. Per la precisione si dimisero tutti lo stesso giorno in cui fui nominato Amministratore Unico (14.2.24). Tanto, sapevano che grazie all’INPS avrebbero comunque recuperato i compensi di quei tre mesi che, grazie all’azione della ex direttrice, erano rimasti pignorati.
E quelli che fino al giorno prima pubblicavano post motivazionali sul loro grande amore per l’azienda… il giorno dopo si dichiaravano vittime, all’unisono come il più affiatato dei team. Intanto nelle chat aziendali e mail personali si pugnalavano a vicenda tra colleghi.
Eppure, ce l’abbiamo fatta
Senza di loro abbiamo pubblicato per un altro anno. Sia il magazine che il sito. Anche perché — va detto — da due anni il lavoro operativo lo faceva già il mio team. La redazione era lì perché non avevamo scelta, non certo per un reale contributo strategico.
In questo anno abbiamo dimostrato che si poteva lavorare bene senza essere ricattati dai vecchi collaboratori. Per loro non era di certo un problema, tanto non erano loro i soldi. Alcuni di loro erano prossimi alla pensione. E chi non lo era, spesso aveva già un secondo lavoro. Illegale? Forse. Ma chi se ne frega, vero?
E così, nonostante tutto, senza di loro, il 2024 è stato l’anno più sereno per me e per il mio team.
La scelta finale?
Mettere altri soldi e riscaldare la zuppa, oppure dedicarci ai progetti nuovi e agli investitori seri che ci hanno seguito e apprezzato?
Scelta ovvia: la seconda.
Così, io e il mio team abbiamo lasciato serenamente il testimone a un nuovo imprenditore.
Troverà un brand ripulito, pronto per il futuro. E gli auguriamo buona fortuna.
Sono fiero. Di me e del mio team.
Del lavoro fatto, dei risultati raggiunti, di non aver mai ceduto su etica e visione.
Abbiamo dato anima e corpo, con coerenza, trasparenza e passione.
Come ha scritto di recente una di quelle giornaliste che di Millionaire ha fatto parte per quasi 30 anni:
“Diamo respiro a chi, in Italia (e non solo - nota mia), fa il mestiere più bello del mondo: l’imprenditore.”
Già. L’imprenditore, non il giornalista nostalgico, che guarda al passato con orgoglio sterile — senza mai aver conosciuto il rischio, le responsabilità, o il coraggio di mettersi davvero in gioco.
Ad maiora.
E ora… si riparte! 😉
Complimenti Matteo, la sua arguzia e la sua ironia danno vita alla penna con cui scrive rendendo l'articolo piacevole e di grande ispirazione, affrontare le difficoltà, perseverare, avere visione a volte vale più di mille talenti(anche se lei ne ha dimostrato più di qualcuno)Ad maiora!