'A modest proposal' - Una proposta semplice (per niente utopistica)
E se invece di rispondere al deficit abitativo, oltre a costruire nuove case, iniziassimo ad usare quelle vuote? Dati, logica e un pizzico di coraggio per ripensare l'Italia che si sta svuotando.
In Italia ci sono circa 10 milioni di case vuote. Alcune sono seconde case, altre sono ruderi, molte sono semplicemente inutilizzate. Più di un quarto del patrimonio immobiliare residenziale è fuori mercato. E nel frattempo, continuiamo a costruire. Perché?
Perché è più semplice costruire nuove palazzine in periferia che rimettere a posto la casa della nonna a 40 minuti dalla città. Perché è difficile portare i servizi dove mancano. Perché c'è l'idea che "nessuno ci vivrebbe mai". Eppure, è proprio qui che comincia una proposta.
Una breve premessa: cos'era davvero "A Modest Proposal"
Il titolo richiama volutamente il celebre pamphlet satirico del 1729 di Jonathan Swift, in cui l'autore irlandese proponeva — ovviamente in forma provocatoria — di risolvere la povertà in Irlanda mangiando i figli dei poveri. Una critica feroce e lucidissima all'indifferenza delle classi dirigenti britanniche e al cinismo delle proposte economiche del tempo. La forza di quel testo stava nella sua apparenza razionale, nella logica spinta fino all'assurdo. Il suo obiettivo era scioccare, scuotere, svegliare.
Oggi non servono paradossi tanto estremi. Ma la logica che guida molte delle nostre scelte urbane e immobiliari — quella sì, a volte sembra ancora una satira involontaria. Ecco perché recuperare l'espressione "modesta proposta" ha un senso: perché ci invita a guardare il mondo al contrario.
I numeri: quello che (non) vogliamo vedere
In Italia ci sono 9.581.772 abitazioni vuote (ISTAT, Censimento Permanente della Popolazione e delle Abitazioni 2021).
Questo rappresenta circa il 28% del totale delle abitazioni residenziali censite.
Secondo Openpolis, oltre 10 milioni di case risultano oggi non occupate da residenti stabili (2023).
Di queste, oltre la metà sono in aree interne o piccoli comuni, molti dei quali già in declino.
La popolazione italiana diminuirà da 59,2 milioni (2021) a 47,7 milioni nel 2070 (ISTAT, scenario demografico centrale 2023).
L'82% dei comuni delle aree interne perderà popolazione entro il 2043, con picchi del 93% nel Mezzogiorno (Scienza in Rete, luglio 2025).
Il 46% degli under 35 vive ancora con i genitori (Censis, Rapporto Annuale 2024).
Il paradosso: troppo spazio dove nessuno guarda
Abbiamo un Paese pieno di case inutilizzate e vuote. Un patrimonio abbandonato che vale più di 1.000 miliardi di euro (Tradimalt, stime 2024).
Eppure, si parla solo di housing sociale nelle metropoli, di costruire nuovi complessi e grattacieli, di rilanciare l'edilizia urbana. E nel frattempo, un bilocale da 45 mq in periferia costa 250.000 euro — per vivere a un'ora di distanza dal lavoro o peggio.
E perché non consideriamo una strategia più flessibile? Perché è culturalmente più "normale" comprare un cubicle urbano che recuperare un edificio esistente con cortile e vista sul verde? Anche se a mezz’ora in più di auto o treno?
Una proposta semplice: rigenerare, decentrare, vivere meglio
Quello che serve non è un'utopia, ma una strategia pragmatica e a basso impatto:
Recuperare le case esistenti: con un pacchetto di incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche. Invece di spingere per nuove costruzioni, concentriamoci su ciò che già esiste.
Portare i servizi dove ci sono le case: non le università, né i grandi ospedali, ma ambulatori, sportelli digitali, coworking, trasporti pubblici flessibili. Servizi di base, di prossimità, e digitali.
Sostenere chi lavora da remoto parzialmente: perché non tutti lavorano in grandi aziende urbane. Molti lavorano in piccoli team, da remoto, o in modo ibrido. Bastano 2–3 giorni di lavoro a distanza per trasformare un territorio.
Rendere abitabile l'alternativa: case accessibili, anche in affitto breve (oh scandalo!) o con formule transitorie. Non è necessario che tutte diventino residenze permanenti. Possono essere spazi temporanei, rigenerativi, formativi.
Coinvolgere i giovani nel disegno: perché questa trasformazione riguarda chi ha oggi 14–16 anni. A loro dovrebbe essere chiesto: dove immaginate il vostro futuro? Possiamo immaginare con loro un patto educativo e territoriale.
I pro e i contro di una simile proposta
Pro:
Riduzione del consumo di suolo e della cementificazione.
Minori costi abitativi per famiglie e giovani.
Opportunità di rilancio per territori abbandonati.
Lavoro per imprese edili locali e artigiani.
Maggiore coesione sociale e rinascita di comunità locali.
Contro:
Difficoltà burocratiche e amministrative nei cambi di destinazione d’uso.
Necessità di coordinamento tra Stato, Regioni e Comuni.
Costi iniziali di adeguamento infrastrutturale (connessione, trasporti, servizi sanitari).
Resistenza culturale all’idea di vivere fuori dalle grandi città.
Rischio di polarizzazione: alcuni piccoli comuni potranno attrarre investimenti, altri no.
Non tutti i luoghi si salveranno, è vero, a alcuni possono rinascere
Non si tratta di idealizzare ogni piccolo comune come se fosse un borgo ideale. Alcuni luoghi sono (temo) irrecuperabili, troppo isolati o privi di prospettive economiche. Ma molti altri hanno ancora infrastrutture, comunità, bellezza, e accessibilità decente. E basterebbe poco per cambiare la traiettoria.
Perché il problema non è solo edilizio. È culturale.
Continuiamo a costruire "dove c'è domanda" e ci sta. Nemmeno puoi escludere la crescita di modelli urbani attrattivi. Ma potrebbe essere anche che la domanda sia drogata da anni di abbandono di alternative. Ed è questo che mi interessa… non il perché si costruisce a Milano o Roma, ma il perché non si considera l’ipotesi di usare quello che abbiamo già lì. E non ci chiediamo cosa stiamo perdendo: qualità della vita, comunità, memoria, e anche sostenibilità economica.
Perché vivere in 40 metri quadri a 1.500 € al mese a un'ora di macchina non è solo triste. È insensato.
ITS Italy: una scommessa anche per gli italiani
Con ITS Italy Lavoriamo da anni con stranieri che vogliono investire e vivere in Italia. Ma questa proposta non è per loro soltanto. Può esserlo anche per italiani curiosi, giovani, in cerca di una terza via. E ogni giorno lo raccontiamo su .
Una generazione che non vuole per forza tornare alla terra o vivere isolata. Ma che ha capito che il futuro non è (solo) in città. E che chiede un patto nuovo: tra persone, luoghi e possibilità.
Questa non è LA soluzione. Ma è una proposta concreta che finora è stata sistematicamente esclusa dal dibattito mainstream.
Chiedeteci come ci stiamo pensando. Anche per chi ha 14, 16 o 18 anni.